La musicoterapia funziona, lo dice anche Pitchfork

Pitchfork, una delle poche testate musicali online davvero di riferimento nel mondo (è da poco entrata a far parte dell’universo Condé Nast) ha recentemente pubblicato un lungo articolo sulla musicoterapia. L’autore, Jayson Greene, ha fatto un lungo excursus molto personale sul tema, partendo dai bambini ospitati nei reparti di terapia neonatale…
La parte più tecnica e più interessante è quella iniziale. Come dice giustamente Vaskas Churba, musico terapeuta del Neonatal Intensive Care Unit (NICU) del Mount Sinai hospital di New York, i bimbi durante la gravidanza sentono soprattutto un suono: il battito del cuore della loro mamma. Se vengono al mondo troppo presto, la mancanza del suono che è sinonimo di vita può da sola causare ansia. Se invece in qualche modo si riesce a riprodurre il giusto modo di ascoltare il battito come “dentro la pancia della mamma”, non tramite casse standard ma tecnologie diverse… è provato, il bambino inizia a rilassarsi.
L’articolo continua poi raccontando diverse esperienze di musicoterapia, esperienze che hanno riguardato traumi di ogni tipo, da quelli causati dall’11 settembre a quelli dell’uragano Katrina.
L’autore, che è anche un violinista (oltre che un giornalista ed un fan), si chiede giustamente se per lui la musica è narcotica o catartica. E’ una domanda giusta. Anch’io, rockstar mancata, raccontatore e musicista che suona troppo poco, me lo sono chiesto più volte e, per me, senza alcun fine musico – terapico… la risposta è ormai sempre la stessa. La musica, è sempre e comunque un amplificatore di ciò che sento. Se sono triste o nervoso, con la musica, divento ancora più triste e più nervoso. Anzi proprio quel sound che mi serve per ‘gestire’ come mi sento. Amo sia Brian Ferry sia i Sex Pistols, ma li ascolto in momenti diversi. Se sto suonando da solo e sono allegro, in qualche modo suono leggero usando soprattutto accordi maggiori e arpeggi, se sono disperato (capita), vado giù con un po’ di violenza (musicale). Dopo non mi sento bene, ma forse un po’ meglio si. La musica non mi mette mai di buonumore, se non lo sono già, ma se ascolto quella giusta, si scatena comunque qualcosa dentro di me.
L’articolo di Jayson Greene va poi avanti con un’esperienza emozionante analoga alla mia, fatta però con una musicoterapeuta. Commozione e cose semplicissime a parte (l’autore si stupisce che la sua testa sia anche una cassa di risonanza, ovvero una sorta di strumento musicale, quando qualunque musicista occidentale usa gambe e torace per simulare la cassa o il rullante di batteria se deve tenere il tempo), è nel complesso un articolo che ho letto davvero volentieri.
Che la musica ed il suono curino anche l’anima e il corpo lo sappiamo fin dalla preistoria. Ma abbiamo sempre più bisogno che qualcuno ce lo ricordi. Il problema sarebbe applicare dei protocolli precisi e provare sempre ad affiancare la musica giusta all’anestesia, nella terapia del dolore e l’esperienza musicale adatta a chi soffre d’ansia o di rabbia mal gestita.
(Lorenzo Tiezzi – www.soundscapes.it)